venerdì 17 marzo 2023

Napoletano in tutto, per tutto e da per tutto

Giunge un momento nella vita in cui bisogna fare pubblicamente delle confessioni, di rendere pubblico qualcosa di personale. Nel tempo in cui si parla inglese, posso dire che è giunto il momento di fare coming out e di confessarvi una verità tenuta nascosta: non ho sempre tifato per il Napoli. Dopo questo, chi volesse accusarmi di salire sul carro dei vincenti, dico che la mia conversione calcistica è avvenuta quindici anni fa. Ma andiamo con calma. Posso affermare che a me del calcio, da bambino e da adolescente, non è che importasse gran che. Ricordo vagamente i festeggiamenti del secondo scudetto ma del primo, che risale a quando avevo cinque anni, non ricordo nulla. A sedici anni, nel pieno della mia ignoranza calcistica, presi una bella cotta per una ragazza del mio quartiere che, scoprii, tifava per la Roma. Fu così che iniziai a seguire il calcio e a tifare Roma: per fare il bello con la ragazza. La cotta passò e con essa la voglia di seguire il calcio ma la Roma rimase un chiodo fisso, talmente fisso che pensai che un giorno sarei andato a vivere a Roma. Pensiero che, poi, si è avverato sul serio (state sempre attenti a cosa chiedete a Dio nel segreto dell’anima).

Il 2008, però, è stato l’anno della svolta. Quell’anno, infatti, andai un mese in Uruguay con un gruppo di ragazzi e ragazze (più ragazze in verità) nelle missioni degli Oblati di Maria Immacolata in quella terra lontana. Quel viaggio, oltre ad una fidanzata (e attuale moglie) mi regalò anche altro: la consapevolezza che appartenevo ad un popolo che si incarna in tutto nella città di Napoli. Mi resi conto che, da napoletano quale sono (è vero che vivo a Roma ma, per citare un mio amico, puoi togliere un napoletano da Napoli ma non Napoli da un napoletano) non potevo che tifare per la squadra della mia città. Sarà stato il mito degli uruguaiani che si affacciavano nel Napoli (erano gli anni di Gargano e Bogliacino). Comunque, senza criticare tanti napoletani che tifano per altre squadre, mi resi conto che tifare per il Napoli non era sostenere una squadra di calcio ma l’intera città; che quei colori che ricordano “‘o cielo e ‘o mare ‘e sta città” non sono relegati solo in ambito calcistico ma sono i colori di un popolo a cui, volente o nolente, appartengo culturalmente; che soffrire e gioire per una squadra significa farlo con un’intera popolazione. Queste cose, ora che vivo in un’altra città, le sento forti più che mai: io sono napoletano quando parlo, quando canto le canzoni della mia tradizione che amo, quando preparo la genovese, quando continuo ad informarmi su quello che avviene in città (qualcuno si meraviglia che conosco tante cose che accadono a Napoli nonostante non viva lì), quando mi fa arrabbiare ma subito cerco un rametto d’ulivo per fare pace. Io sono napoletano sempre e in tutto e di questo sono orgoglioso.

“La lontananza è come il vento che fa dimenticare chi non s’ama” ed è proprio vero. Menomale che l’amore per la mia città è talmente forte che si fortifica ogni giorno. Nonostante la distanza e il vivere in una città meravigliosa che mi ha adottato. Spesso percepisco la fatica di alcune persone a capire perché per me è importante la mia città, tornarvi ogni tanto e camminare per i suoi vicoli, sentire i suoi suoni e rumori, percepire i suoi odori e le sue puzze, bagnarmi al suo sole. Io faccio fatica a farglielo capire perché non riesco a spiegarlo, sono cose che si vivono e non si possono raccontare. Sono tatuaggi che ho ben impresso nella mente e, soprattutto, nel cuore. Sono la mia ricarica per affrontare il mondo con uno spirito diverso: aperto, vero e trasparente.

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