“Dopo tutti questi anni ancora ci pensi?”
“Non ti fai del male leggendo questi due libri?”
Sono due dei pensieri che mi sono venuti alla mente quando ho deciso di comprare e leggere Quanti figli hai? e Non hai ancora figli? di Livia Carandente, giornalista e scrittrice napoletana. Erano nella mia lista dei desideri da tanto tempo ma il coraggio di comprarli faticava a venire fuori. Poi, dopo aver letto un articolo dell’autrice in cui parlava di fecondità oltre la fisicità, mi sono fatto forza. Tanto, più di rimuginare sul passato e ritornare a farmi inutili preoccupazioni cosa potrà mai succedere?
Ecco, ora che li ho letti entrambi posso dire che mi ha fatto bene. Per prima cosa è stato bello sapere che questa avventura (o disavventura, dipende dai punti di vista) è comune a tante persone. Certo, lo so che io e Angelica non siamo gli unici, ma ricordarselo fa sempre bene. È stato bello confrontarsi, anche solo tramite le pagine di un libro (anzi due), con la storia di Livia e suo marito perché mi ha fatto sentire meno in colpa verso coloro che non hanno mai capito (e ancora non capiscono) come mi sento quando alla domanda “figli ne hai?” storco il naso. Non è tanto questa domanda, che potrei definire lecita, ma è quello che segue alla risposta negativa da parte mia che mi fa arrabbiare. Le frasi fatte, che ogni volta mi verrebbe di schiacciare qualcuno con la testa nel muro, o i consigli non voluti. Come se tutte le esperienze fossero uguali. Gli inviti ad avere pazienza che “prima o poi arriveranno… quando meno te lo aspetti” senza sapere il motivo per il quale questi figli non arrivano. Non solo, anche la sensazione che qualcuno voglia farsi gli affari della mia camera da letto. Purtroppo questa non è una sensazione. Un parente di mio padre, una volta, mi ha chiesto se doveva spiegarmi come si fanno i figli. Il parente deve ringraziare che sono pacifico e non cerco mai lo scontro. Questi sono tutti atteggiamenti descritti in maniera ironica da Livia e che lasciano l’amaro in bocca a chi li vive. È sempre forte la voglia di urlare di farsi gli affari propri, quindi via di sorrisi di circostanza o di mille scuse per cambiare discorsi.