giovedì 4 novembre 2021

Lettera a Gigi prete diocesano gatto

Caro Gigi prete diocesano gatto,

io non sono che un piccolo alter (l)ego di questo sciocco di Giovanni Varuni (in verità lo definisco sempre con parolacce ma non mi va di scriverle a te che poi rischio di vederti bilocato accanto a me con il tuo spruzzino di acqua esorcizzata). Ti scrivo perché, io e lui, ci siamo impegnati e abbiamo letto il libro in cui vengono narrate alcune tue gesta.

Stamattina ne abbiamo parlato a lungo io e Giovanni (quando non ha turno in casa famiglia e resta a casa da solo diventa estenuante con le sue seghe mentali). Ammetto che entrambi abbiamo avuto difficoltà con il termine bagigi, siamo napoletani (almeno lui lo è), viviamo a Roma e questo termine non lo conoscevamo. Google ci aiutato e abbiamo continuato la lettura.


Coso mi ha confessato che è andato un po’ in crisi mentre leggeva il libro. Ad un certo punto, infatti, ha iniziato a temere di essere un cattolico-gelato-pizza. A lui piacciono tanto i gelati e la pizza (è pur sempre un napoletano che vive a Roma) ma poi ha capito che non c’entrano il gelato e la pizza, che non ti ritroverà accanto a lui con lo spruzzino per questo. Il suo timore, leggendo il libro, è di sentirsi un cristiano annacquato. Più andava avanti con la lettura e più lo vedevo paonazzo (la cosa mi divertiva tanto in verità). Ad un certo punto ha sorriso, ha ripreso il suo colore naturale (che, veramente, non si discosta molto dal paonazzo) e mi ha detto: “MiniG (questo è il mio nome), non sono un cattolico-gelato-pizza e non lo sono per due, forse tre motivi (sì, non è molto sicuro quando parla).”

“Ok, quali sono questi due, forse tre motivi?”

“Il primo è che mi piacciono tanto i preti impegnati nel sociale, che cercano di portare speranza tra gli ultimi, gli abbandonati.”

“Allora sei un cattolico-gelato-pizza!”

“No! Qui ti volevo! Non lo sono perché non mi piacciono tutti ma solo quelli in cui riesco a vedere il viso di Gesù; quelli che, quando narrano le loro imprese, si vede che mettono Gesù al primo posto, che non lo fanno per loro stessi.”

“Tipo padre Vincenzo Bordo in Corea del Sud?”

“Sì, proprio così. Ma anche don Maurizio Patriciello, don Pino Puglisi, don Peppe Diana (che bella coincidenza che entrambi si chiamino Giuseppe), don Milani, don Benzi… potrei continuare all’infinito ma mi fermo. Poi, ovviamente, mi piacciono i preti che predicano e non hanno paura di dare pan per focaccia anche quando amari; che non temono di scomodare chi ascolta perché il Vangelo, lo sappiamo noi, è scomodo.” 

“Chi non lo sa…”

“Il secondo motivo è che voglio diventare santo e lo desidero con tutto il cuore.”

“Che palle, ora inizi con la storia della santità…”

“Lo desidero ma vorrei che quando mi presenterò davanti a Dio Padre, mi faccia entrare in Paradiso perché in vita sono stato un uomo giusto.”

“Come san Giuseppe?”

“Mica sono un pappagallo? Ci voglio entrare come Giovanni. Certo, san Giuseppe può aiutarmi.”

“E il terzo motivo?”

“Non c’è. Ma anche a me piace Don Matteo (ma non fare la spia ad Angelica che poi non posso più prenderla in giro)… poi mi sono emozionato alla conversione del capo nero di Agents of S.H.I.E.L.D.

“Tranquillo, il segreto resta tra di noi. Tuttalpiù lo dico a MiniA (mica solo lui può avere una moglie). Ora che farai?”

“Ne parlerò in direzione spirituale.”


Bene, caro Gigi prete cattolico diocesano, come puoi leggere da questa conversazione, chi ha narrato le tue gesta ha fatto un buon lavoro che fa riflettere e mette in discussione. Io e Giovanni ci siamo ripromessi di rileggere qualche aneddoto di tanto in tanto.


Ora ti saluto che devo preparare #laparoladellafesta di domenica prossima.

Un abbraccio e, come scrive sempre Coso, uniti in Gesù e Maria.

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