sabato 7 novembre 2020

Vita riservata. Saluto a Stefano D’Orazio

Lo so, questo spazio sta rischiando di diventare un elogio funebre quotidiano ma ci sono personaggi che ci stanno lasciando è che hanno fatto parte della mia storia. Stefano D’Orazio (ma i Pooh in generale) è uno di questi. 

I miei amici dell’adolescenza possono testimoniare quanto, influenzato da mia madre, ascoltassi i Pooh. Da lì, forse, è nata la diceria (non tanto falsa in verità) che io fossi “vecchio dentro”. Mentre gli altri ascoltavano Tiziano Ferro e altri cantanti che negli anni ‘90 esordivano, io cantavo i Pooh. Mentre iniziavano i primi discorsi su diritti degli omosessuali io ascoltavo “Pierre”, canzone troppo avanti per essere stata pubblicata nel 1976. Certo la mia passione per loro non è paragonabile a quella per Baglioni ma è stata pur sempre importante.

Dei Pooh, il componente che sempre mi ha colpito è stato proprio D’Orazio. Mi sembrava quello più silenzioso, discreto e riservato. Mi rendo conto, oggi, che così è stato. I suoi compagni di viaggio, i suoi “Amici per sempre” hanno scritto che da due settimane era ricoverato. La notizia, però era riservata. Non credo per vergogna. Non c’è nulla di vergognoso ad essere malati. Mi piace pensare che Stefano sia stato coerente con il suo essere anche nella difficoltà. In tempi in cui sembra non esserci un distacco netto tra pubblico e privato, il batterista dei Pooh ci ha insegnato che il nostro privato è un dono prezioso che dobbiamo custodire con amore e attenzione.

Grazie Stefano! Che la terra ti sia lieve!

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