lunedì 23 novembre 2020

Quarant’anni dopo

Sono nato nell’ottobre del 1982 e, ovviamente, non posso ricordare l’evento del terremoto dell’Irpinia del 1980 di cui oggi ne ricorre il quarantennale. Un sisma che ha cambiato la vita di molti.

Non sono un testimone di quello che accadde, dei morti e degli sfollati che ci furono ma posso essere testimone degli effetti che, dopo quarant’anni, si fanno ancora sentire (anche a causa di una classe politica inetta).

Sono testimone di persone che per anni hanno aspettato un’abitazione che, spesso, non è mai arrivata. Sono testimone del conseguente scempio edilizio dei casermoni popolari che hanno sradicato le persone dai loro territori, paesi e quartieri per costringerli a costruirsi una nuova identità, a costringerli a vivere senza servizi e senza assistenza. Sono testimone che a quella ricostruzione edilizia non fu affiancata quella delle persone, della loro dignità.

Sono testimone del terrore che il terremoto dell’80 ha lasciato nelle persone. Ricordo il volto terrorizzato di mia madre ogni qual volta il lampadario del salone tintinnava per un terremoto. Solo da adulto ho potuto capire il motivo di quel viso spaurito ogni santissima volta ci fosse una scossa. Oggi capisco perché mia zia, ogni volta che c’è una scossa nel Centro Italia, mi chiama subito per sapere come sto.

Sono testimone della forza del popolo campano, non ha mai mollato. Ha continuato a vivere (e a sopravvivere) con la famosa arte dell’arrangiarsi, non perdendosi d’animo, rimbeccandosi le maniche e ad andare avanti consapevoli che la ricostruzione inizia dalla volontà delle persone. Perché quel “Fate presto!” risuona ancora forte nelle nostre orecchie e, qualcuno, aspetta ancora che arrivi un aiuto. Dopo quarant’anni.

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