lunedì 9 gennaio 2017

Sguardo: da indagatore a fiducioso

Ormai sono dieci anni che lavoro a contatto con minori di ogni genere. Il mio è uno dei mestieri più belli del mondo: sono (pseudo)educatore di minori che hanno problemi sociali, fisici, razziali. In poche parole, da dieci anni ho toccato realtà giovanili difficili come dei quartieri a "rischio" della mia città di origine, Napoli; ho lavorato con ragazzi disabili, scontrandomi con tutte le difficoltà della loro vita. Ora cambio di nuovo "mansione" lavorativa: inizio a lavorare in una casa famiglia che accoglie minori tra cui anche migranti non accompagnati che si trovano in Italia in attesa di essere ricongiunti ad un loro parente. In tutte le mie esperienze lavorative, però, c'è una costante che ho ritrovato sempre, un divisore in comune che ho ritrovato in tutti i ragazzi che ho incontrato in questi dieci anni: il loro sguardo.
Infatti, ogni volta che ho incontrato un ragazzo (o ragazza) per la prima volta, che questo sia uno scugnizzo di Napoli, un disabile in carrozzina o un migrante che parla male la nostra lingua, ho ritrovato sempre lo stesso sguardo. Sono occhi indagatori che scrutano chi hanno davanti. È uno sguardo che vuole capire chi sono io, quali sono i miei punti deboli; uno sguardo al quale, a distanza di anni, riesco a ricordare nome e cognome. Da questi sguardi sono rimasto sempre folgorato, incuriosito e la loro diversità mi hanno sempre spinto a modulare il mio atteggiamento per ritrovarmi, ogni volta, nello stesso errore: non essere me stesso. Credo fortemente che il trucco per un educatore sia quello di essere se stessi, senza maschere, solo così si crea un rapporto vero con i ragazzi che mi sono affidati, solo così quegli occhi indagatori possono trasformarsi in uno sguardo di fiducia senza la quale non può esistere nessun rapporto educativo.

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