
Infatti, ogni volta che ho incontrato un ragazzo (o ragazza) per la prima volta, che questo sia uno scugnizzo di Napoli, un disabile in carrozzina o un migrante che parla male la nostra lingua, ho ritrovato sempre lo stesso sguardo. Sono occhi indagatori che scrutano chi hanno davanti. È uno sguardo che vuole capire chi sono io, quali sono i miei punti deboli; uno sguardo al quale, a distanza di anni, riesco a ricordare nome e cognome. Da questi sguardi sono rimasto sempre folgorato, incuriosito e la loro diversità mi hanno sempre spinto a modulare il mio atteggiamento per ritrovarmi, ogni volta, nello stesso errore: non essere me stesso. Credo fortemente che il trucco per un educatore sia quello di essere se stessi, senza maschere, solo così si crea un rapporto vero con i ragazzi che mi sono affidati, solo così quegli occhi indagatori possono trasformarsi in uno sguardo di fiducia senza la quale non può esistere nessun rapporto educativo.
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