mercoledì 21 gennaio 2015

Famiglia d'amare


Che cosa è la famiglia? Questa domanda mi gira nel cervello da qualche giorno. Sarà stata la verza non digerita o il convegno sulla famiglia che si è svolto a Milano sabato scorso. Sarà che faccio parte di una famiglia da quando sono nato e che da qualche mese ne ho una mia. Non so, ma ho cercato di darmi una risposta.
La famiglia è amore. Per formare una famiglia la cosa essenziale è che ci sia amore. Affermazione condivisibile ma non esaustiva. Se l’amore non ci fosse non riusciremmo a sopravvivere nemmeno un giorno nella convivenza familiare, questo nessuno lo mette in dubbio. Tuttavia, l’amore da solo non basta. 
La famiglia è comunione. Se l’amore da solo non basta è perché senza condivisione non ha senso di esistere. Come potrei amare i componenti della mia famiglia se non desidero essere uno con loro? La famiglia è comunione perché se non voglio condividere con i miei familiari la mia vita, donandola quando vengo chiamato a farlo, l’amore sul quale è costruita è finto e finisce presto.
La famiglia è diversità. La comunione è ricca quando avviene con chi è diverso da noi. Tra marito e moglie si completa quando i loro corpi, che sono differenti, diventano un’unica realtà. La famiglia è comunione perché io e mia moglie non siamo due metà della stessa mela che si completano ma due mele diverse che vogliono fare un frullato dal sapore inimitabile. 
La famiglia è unicità. Dall’unione della diversità nascono i frutti più belli, è nella diversità che nascono i figli segno concreto della comunione tra marito e moglie. È grazie all’unicità che la comunione può allargarsi.
La famiglia è un allenamento per il martirio. Perché quando la comunione si allarga sei chiamato a donare la vita nelle piccole cose. Smettere di guardare la partita del Napoli (potrei avere un tentennamento solo su Napoli-Juve) se mia moglie ha bisogno di aiuto; mia moglie che abbandona la lettura di un libro quando non trovo i calzini (atto di amore che adoro); uscire di corsa, come fece una volta mia madre, e farsi mezza città per andare a prendere il figlio febbricitante a scuola. È un allenamento al martirio perché se un giorno sei chiamato a donare letteralmente la vita non avrai problemi a farlo. 

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