Il lavoro di educatore è ricco di formazione e di aggiornamento perché non basta amare i giovani che vengono affidati alle cure educative per fare un lavoro dignitoso. C’è tanto studio, tanta fatica. Lo dico sempre ai ragazzi che non si smette mai di studiare. Non mi credono ma restano stupiti quando dal mio zaino tiro fuori un libro che sto studiando.
Tuttavia, c’è una formazione che si fa sul campo, quella che nessun albo professionale può spiegare o contenere: quella che fanno i ragazzi con la loro quotidianità. La fanno quando mi chiedono di asciugare folti capelli ricci (io che non ne ho); quando giovani donne preadolescenti mi mettono di fronte al loro mondo fatto di amori e interessi femminili (quelli che “non puoi capire perché sei maschio”); quando cercano di farmi entrare in mondo musicale che non amo e poi sono costretto a studiare i brani quando torno a casa; quando mi spiegano un videogioco che va di moda di cui conosco solo il nome.
Tutto questo costa fatica, la stessa che spendo sui libri ma altrettanto necessaria perché, come disse San Giovanni Bosco, “Se vuoi che i giovani facciano quello che tu ami, ama quello che piace ai giovani”.
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