martedì 9 aprile 2013

Partecipazione digitale



Shirky nel suo libro Surplus cognitivo parla di come la vita sociale nel ventesimo secolo crea un’atomizzazione che ci spinge lontani dalla “cultura partecipativa” (Shirky, pag. 19) e una delle cause di questa atomizzazione è da ricercare all’interno delle innovazioni tecnologiche. Dalla televisione ai new-media .
Paradossalmente sono proprio le tecnologie digitali (le stesse che provocherebbero questa atomizzazione) a porre una sorta di rimedio ad un processo di individualizzazione che le vuole vedere protagoniste. Un processo che nasce prima dell’inizio dell’era digitale (Pecchinenda, Homunculus, pag. 1-90).
Ma cosa significa veramente partecipare? Se il concetto si limita solo ad una partecipazione fisica allora Shirky ha ragione. I nuovi media ci rinchiudono nelle nostre nicchie. Per partecipazione, però, s’intende anche il “prendere parte in misura più o meno intensa e regolare alle attività caratteristiche di un gruppo, di un’associazione” (cit. Gallino, Dizionario di Sociologia). In questo senso notiamo che i nuovi media hanno rifondato questa partecipazione e fatte nascerne anche di nuove. Un esempio banale è la partita di calcio vista sulla poltrona di casa. Fisicamente non si è allo stadio ma non possiamo dire che non si sta partecipando a quell’evento. Si è semplicemente creata una nuova forma di partecipazione che non prevede necessariamente una compresenza fisica dei partecipanti.
Lo stesso vale anche per le dinamiche della rete.
Le piattaforme Wiki sono un’esempio di partecipazione, di condivisione dei saperi. Anche tanti giochi on-line (ma non solo) prevedono forme di partecipazione  per avanzare di livello. E le varie forme di giornalismo partecipativo non fanno parte della partecipazione?
A volte può anche capitare che una "partecipazione digitale" possa diventare anche fisica. E' il caso delle rivoluzioni del mondo islamico. Se è vero che tutto è partito dal passaparola in internet, tanto da far nascere il termine "Rivoluzione 2.0", è anche vero che la rivoluzione è passata dai computer alle strade. E i risultati sono davanti agli occhi di tutti.
Ultima nota. Sempre nel Surplus cognitivo (pag. 21) Shirky cita il concetto looky-loo di Dave Hickey. Questo è un tipo di pubblico (il padre di Hickey era un musicista) interessato solo a consumare. Ma il consumo (di arte in questo caso) non è una forma di partecipazione? Non si sta lo stesso all’interno di una dinamica partecipativa? Il semplice atto di acquistare non è una partecipazione a far crescere la popolarità di un artista? 

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