Il contrario della speranza è la disperazione. Possiamo accorgercene leggendo il Vangelo. Infatti, dopo la morte in croce di Cristo, gli apostoli erano disperati, sbandati. Loro non sapevano cosa fare. Sì erano chiusi nel cenacolo ed erano fermi, portando su di essi il peso della sofferenza perché il maestro, il loro maestro era morto. Avevano perso la speranza.
Poi è avvenuto il miracolo e la disperazione è andata via perché la resurrezione l’ha trasformata. Non l’ha cancellata ma trasformata in speranza. Noi cristiani siamo i testimoni di questa speranza. Lo so che è difficile. Come si fa a testimoniare la speranza quando la nostra vita porta dei dolori? Come si fa a testimoniare la speranza quando ci sentiamo soffocare e non troviamo una via d’uscita? Io non so dare una risposta perché ognuno ha la sua storia e dare facili soluzioni sarebbe una violenza. Posso solo indicare il Crocifisso e sottolineare che le piaghe del Cristo non sono andate via con la resurrezione. Quelle restano li, come restano impresse nella nostra mente e nel nostro cuore le sofferenze che ci accompagnano. Tuttavia, noi siamo chiamati a viverle nella speranza, non aggrappate ad esse ma trasformarle.
Con la speranza della resurrezione gli apostoli smettono di essere chiusi e trovano la loro spinta missionaria. È dopo la resurrezione che hanno il mandato da Gesù di andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo, di testimoniare quella speranza che avevano, ormai, fatta loro. Perché la speranza non è, come qualcuno l’ha definita, la “virtù debole”, non è un aggancio al quale aggrapparci per avere una consolazione che non arriva: la virtù dei disperati appunto.
La speranza, ci dice Papa Francesco, è una virtù concreta, “di tutti i giorni perché è un incontro. E ogni volta che incontriamo Gesù nell’Eucaristia, nella preghiera, nel Vangelo, nei poveri, nella vita comunitaria, ogni volta diamo un passo in più verso questo incontro definitivo” […] “La speranza ha bisogno di pazienza”, proprio come bisogna averne per veder crescere il grano di senape che il Vangelo ci ricorda. È “la pazienza di sapere che noi seminiamo, ma è Dio a dare la crescita”. La speranza, infatti, non è passivo ottimismo ma, al contrario, “è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura” (Omelia di Santa Marta, 23 ottobre 2018). La speranza è, aggiungo, il motore della missione della Chiesa, il propulsore che ci spinge ad andare oltre le nostre comunità per poter incontrare l’altro e permettergli di assaggiare lo stesso amore che ha convertito i nostri cuori. È la speranza che ci fa andare oltre i nostri limiti ed essere audaci testimoni del Vangelo perché essa è come una fiamma che consuma (nell’amore) e che non va spenta.
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