Giuro che stavolta non vi annoierò
troppo ma c'è un pensiero che mi attanaglia la mente ed è più
forte di me, devo condividerlo con voi.
Chi mi conosce sa che non sono un
uomo che ama il dialogo, ovvero, non amo il dialogo nel significato
che gli da il senso comune. Io dico sempre che se per dialogo
s'intende il parlare di alcune cose e non essere libero di poter
difendere la propria opinione sentendola, quindi, denigrare o non
rispettata, se ci sono questi presupposti vuol dire che non esiste
dialogo. La bellezza del dialogo sta nel poter esternare la propria
idea, ascoltare l'idea della persona con la quale si entra in contatto e
rispettarla. Questo procedimento, tuttavia, non implicita che si
raggiunga un punto di vista comune. La bellezza del dialogo sta anche
il lasciare all'altro la libertà di continuare ad abbracciare il
proprio pensiero, anche se non lo condivido, anche se se per me
dovesse risultare un pensiero “nemico” contro il quale iniziare
una battaglia (naturalmente non una battaglia violenta). L'altro è
libero di fare la stessa cosa con me ma deve lasciarmi lo spazio e la
libertà di continuare a manifestare il mio pensiero.
Scrivo queste cose perché mi dona una certa serenità il dialogo che Francesco (il papa)
sta tessendo con Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano “la
Repubblica”. Un dialogo aperto, sincero e fraterno tra il capo della cattolicità e il giornalista non credente. Quello che si
stanno scrivendo e dicendo ormai lo sappiamo tutti. Mi piace sapere
che ciò avviene nella stima reciproca e mi piace sapere
che i due partono da alcuni punti (sottolineo la parola “alcuni”)
in comune per iniziare un dialogo. Nessuno dei due vuole convincere
l'altro della giustezza delle proprie idee ma nessuno dei due perde
la propria identità. Per esempio nell'ultimo confronto avuto tra i due, Scalfari ha detto che lui non crede nell'anima e il papa gli ha
risposto che l'anima ce l'ha lo stesso, anche se lui non crede in
questo germe di eternità che l'uomo possiede. Le posizioni sono
ferme e il papa non cede un passo dinanzi alle idee
dell'intellettuale ateo. Certo, Francesco sa a che rischio va incontro. Sa con chi sta interloquendo. Sa che strumentalizzazioni e fraintendimenti sono dietro l'angolo. Il
rischio di affibiargli cose che non ha mai detto è grande (e lo notiamo ogni giorno). Tuttavia, il papa
sta insegnando una via a noi cattolici: la missionarietà; partire da ciò che si ha in comune con gli altri (in questo caso i non credenti) per poter uscire
dai nostri gusci nei quali ci sentiamo protetti e farlo per annunciare a tutti Gesù che è la nostra via, verità e vita. Francesco ci invita a "sporcarci le mani" con il Vangelo.
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