Qual è il ruolo di noi cattolici nel nuovo panorama digitale? Come possiamo fare per essere consapevoli che si è aperto un nuovo fronte di evangelizzazione? Sono queste le domande alle quali si è cercato di rispondere al convegno Testimoni Digitali che si è tenuto a Roma dal 22 al 24 aprile.
Ma queste sono domande che anche io mi sono posto e che mi hanno spinto a partecipare a questo convegno.
Sono stati due giorni ricchi, durante i quali si sono confrontati consacrati e laici sul tema della testimonianza on-line.
Tanti relatori si sono susseguiti ma l’invito era unico: non avere paura dei nuovi media e non demonizzarli. Mon. Crociata è di quest’opinione, un’opinione che io condivido. Il prelato ha giustamente detto che sono cambiati gli scenari mediatici nella nostra società, che sono presenti nuovi media i quali hanno linguaggi nuovi. Il suo ragionamento mi ha trovato pienamente d’accordo con lui specialmente quando ha affermato che bisogna imparare questa nuova lingua se vogliamo incontrare l’altro sempre più intimamente, se l’incontro con l’altro ci sta veramente a cuore. E da cristiani questo passo deve essere inevitabile se vogliamo anche raggiungere questi nuovi luoghi del digitale, per raggiungere queste nuove frontiere nelle quali dobbiamo portare la nostra testimonianza: una testimonianza digitale. Non serve usare bene la rete ma viverla come ambiente di vita, come ci ha ricordato padre Antonio Spadaro S.J.. Internet, infatti, non è uno strumento da usare ma un ambiente da vivere.
Sicuramente questi in nuovi orizzonti non bisogna mai perdere di vista quali sono le problematiche della testimonianza digitale. Il primo è sicuramente il rischio di autoreferenzialità implicita dei new-media. Dobbiamo saper confrontarci con quello che ci sta intorno e con quello che è presente nella rete. Dobbiamo coltivare una nuova alfabetizzazione perchè dobbiamo essere presenti nella contemporaneità; dobbiamo chiederci come poter rimodellare il messaggio evangelico, come poterlo adattare ai new-media per poterlo portare ai “nativi digitali” di questo nuovo continente, a coloro che stanno nascendo e crescendo come se Dio non esistesse. Insomma, bisogna creare una nuova strategia missionaria. Un punto focale per chi vuole evangelizzare nel XXI secolo. Un processo che, secondo me, non deve spaventarci. La Chiesa ha sempre rimodellato il modo di evangelizzare. Se pensiamo, per dirla con Bolter, che gli old-media non sono mai morti ma solo rimediati, cioè assimilati da quelli nuovi, ci viene automatico pensare che anche i contenuti hanno dovuto trovare un nuovo modo per essere comunicati. La rete replica antiche forme della conoscenza e del sapere comune.
Il secondo problema è quello di mettere a fuoco un progetto di comunicazione nelle diocesi mettendo a fuoco le professionalità e i carismi delle persone che sono chiamate ad operare come animatori della comunicazione. Doni e carismi, spesso, rischiano di essere esclusi da questi processi.
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