venerdì 26 maggio 2017

Voglio vivere in un paese gentile (che perdona)

Riprendo questa frase, pronunciata da Flavio Insinna alcune settimane fa durante il programma #cartabianca di Rai 3 (il video qui), perché non c’è nulla di più adeguato a quello che vorrei scrivere.

Non voglio entrare nel merito di una faccenda a mio parere avvilente - quella tra Insinna e Striscia la notizia - che non è degna di essere neppure commentata.
Tuttavia in questi giorni, leggendo qua e là sui social, mi ha invaso una profonda tristezza. Non solo per la vicenda in sé, ma soprattutto per le reazioni della gente.
Ho letto così tanti messaggi carichi di odio profondo da rimanere sconvolta. È il web a tirare fuori il peggio di noi? Basta stare dietro ad uno schermo per diventare così bestiali? O il mondo, noi italiani, siamo diventati davvero così?

Vorrei vivere in un paese gentile dove si dà agli altri la possibilità di fare degli errori.Vorrei vivere in un paese dove si cerca la giustizia e non il giustizialismo. Vorrei che chi sbaglia avesse la possibilità di chiedere scusa. Vorrei che ci fosse ancora spazio per il perdono, perché di questo si tratta. 
Invece vivo in un mondo in cui non si perdona più niente a nessuno, in cui ogni errore diventa fatale. Non si dà agli altri la possibilità di ricominciare, di partire di nuovo da zero, di provare ad essere migliori.
Settanta volte sette, diceva Gesù (Mt 18,22), ma lo abbiamo dimenticato. Del Vangelo ci ricordiamo solo quando non ci scomoda troppo.

"Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri” diceva Giovanni Bachelet, al quale le Brigate Rosse avevano appena ucciso il padre Vittorio.

Il perdono non è facile, è un dono. Ma è l’unica possibilità che abbiamo per restare più umani in questo mondo. Se non siamo capaci di perdonare neanche delle scorrettezze che non toccano minimamente la nostra vita, come potremo mai perdonare il tizio che ci taglia la strada, il collega che ci tortura a lavoro, l’amico che ci ferisce, il marito o la moglie che ci tradisce?

Il perdono è un dono ma è anche un’abitudine, un’allenamento del cuore. Allora cominciamo dal piccolo, da quello che in fondo ci tocca meno, per arrivare gradualmente alle ferite più grandi. Forse all’inizio brucerà un po’, ma poi le ferite, lentamente, si chiuderanno. A volte continueranno a fare male, solo un po’, quando cambia il tempo. Ma non sanguineranno più.

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