giovedì 12 maggio 2016

Cesare e Dio

Ho sempre sostenuto che la commistione tra politica e religione è sempre stata pericolosa, che i partiti religiosi sono un rischio e a che a questi preferisco quelli di ispirazione religiosa. Una cosa è il partito di dio, un'altra un partito che si fa portatore di istanze dottrinali (per esempio i partiti e movimenti che si ispirano alla Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica). per spiegarmi meglio prenderò come esempio il caso islamico in cui, spesso, c'è la presenza di movimenti e partiti politici di natura religiosa (un esempio sono i Fratelli Musulmani in Egitto).
L’islam, infatti, è anche un sistema politico. Esiste l’Organizzazione della Conferenza Islamica che è costituita da 57 nazioni che si definiscono musulmane. Questo avviene perché nell’Islam non c’è una netta separazione tra politica e religione, dal momento che è quest’ultima che plasma la res publica (cosa pubblica) originando un sistema politico, il cui scopo è di proteggere la umma, applicare la sharia e diffondere la dottrina islamica. È chiaro che tutto questo si traduce in un insieme di obblighi e divieti. Questi interferiscono con la quotidianità ed è per questo che l’Islam è una religione integrale che sfocia, spesso, nel fondamentalismo.
Certo, nella nostra storia occidentale è esistito un insieme di Stati Pontifici, ma questo appartiene al passato. Oggi sarebbe inconcepibile un’organizzazione di stati cristiani. Qualcuno potrebbe obiettare che in Occidente sono “legittimati partiti politici che si richiamano esplicitamente alla religione” (Campanini, 2008 a, pag. 13). Questo è vero, anche se è preferibile chiamarli, come ho specificato prima, “partiti di ispirazione religiosa”. E, comunque, sono partiti che vivono in una democrazia liberale dove la logica dell’alternanza e della presa del potere senza spargimento di sangue regolano la vita politica dei paesi dove operano questi partiti (Popper, 2009).
Islam e politica, comunque, hanno avuto sempre un legame forte, potremmo definire indissolubile. Non c’è una netta separazione dei due aspetti come per il cristianesimo. Nel Corano non c’è una frase come “rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21). Nell’Islam, fin dagli albori, il rapporto politica-religione è sempre stato forte. La prima concezione di stato islamico si ha proprio con l’operato di Maometto a Medina dove il ruolo politico si è rafforzato per poter giustificare le sue azioni e per poter prendere il potere a la Mecca (Rodinson, 2008). Non tutti gli studiosi, però, sono concordi nel vedere questa mancata separazione dei due ambiti. Per esempio lo storico dell’Islam, Massimo Campanini, nell’introduzione del suo libro Ideologia e politica dell’Islam, afferma che nell’Islam non si può parlare di teocrazia per i primi tredici secoli della sua storia. Un dato, questo, che non può trovare sostegno. Abbiamo visto, infatti, che il profeta ha usato la religione per poter affermare la sua supremazia politica. Inoltre, come mostra nella biografia su Maometto lo studioso Maxime Rodinson, i versetti del Corano cambiano a seconda delle esigenze della prima comunità dei credenti. Non solo. Il profeta declina i principi costituzionali medinesi ad un riflesso della volontà divina (Guolo, 2004, pag. 33). Lo stato islamico di Maometto, inoltre, è da esempio ai fondamentalisti moderni perché questo è l’Islam reale. È questo che deve essere da esempio per regolare la politica degli stati moderni. 
I successori di Maometto, i califfi, hanno cercato, inoltre, di giustificare il proprio potere facendosi forza sulle regole dell’Islam. “Il califfato delle origini era il più giusto e il migliore sistema di governo. La preoccupazione maggiore dei califfi era religiosa” (Campanini, 2008 b, pag. 105). Inoltre, questa mancata separazione dei due aspetti, religione e politica, è descritta anche all’interno della Raccolta di fiabe Le mille e una notte. Perché il re di Cina, all’interno della fiaba intitolata Il gobbo (Le mille e una notte, 2007), viene chiamato “re del tempo” e i vari sultani (sia all’interno della stessa novella che nelle altre presenti nell’opera) sono chiamati “sovrani dei credenti”? Perché il potere politico era giustificato da quello religioso e, anche se, in verità, vari califfi e sultani (con le loro corti) non aderirono del tutto ai princìpi dell’Islam, li usarono per giustificare il proprio potere e implementarono, tramite giudici e funzionari religiosi, la sharia nelle questioni civili e familiari (Zubaida, 2010, pag. 41). Inoltre, la raccolta fiabesca risalerebbe intorno ai primi anni del XI secolo (Denaro, 2007). Come può affermare Campanini che non si può parlare di teocrazia per i primi tredici secoli? Se per teocrazia intende la perfetta unione del potere religioso e politico nelle mani della stessa persona (come, per esempio, la figura del papa-re o del faraone egiziano) allora potremmo dargli ragione. Per teocrazia, però, intendiamo anche il potere politico subordinato a quello religioso. A questo punto la sua teoria crollerebbe del tutto.



Bibliografia di riferimento:

Campanini M., Ideologia e politica nell'Islam, il Mulino, Bologna, 2008.

Denaro R., Nel labirinto delle notti. Tra oralità e scrittura, in, “Le mille e una notte”, Donzelli editore, Roma, 2007.

Guolo R., L’Islam è compatibile con la democrazia?, Editori Laterza, Bari, 2004.

Popper K., La lezione di questo secolo, Marsilio Editori, Venezia, 2009. 

Rodinson M., Maometto, Einaudi, Torino, 2008.

Zubaida S., Islam popolo e stato, Jaca Book, Milano, 2010.



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