domenica 25 ottobre 2015

Dignità


Nere. Non ho mai visto delle unghie così nere. Nella parte superiore qualche piccola chiazza di cellule morte spunta qua e la tra ciò che resta di uno smalto scuro di certo poco salutare. La parte inferiore che finisce a contatto con il polpastrello è ormai solo un contenitore di terra e un ricettacolo di germi. Nere e deformate. D’altronde le unghie in questione non sono meno chiare di tutto il resto del corpo. Non riesco a distinguere il colore della carnagione poiché tutte le porzioni di pelle visibili sono ricoperte da uno strato fuligginoso di materia non ben definita. La pelle non visibile è nascosta da una magliettina di cotone che alle origini doveva essere stata arancione, e da una gonna di jeans diventato col tempo marrone invece che blu.
La vivace proprietaria delle suddette unghie è una bimba di circa sei anni che continua a saltellare nel posto davanti al mio, stuzzicando pervicacemente la sorellina minore seduta in braccio alla madre. Quest’ultima appare leggermente meno caliginosa delle figlie, pur tuttavia mostrando un evidente ricrescita nera tra i capelli, dalla quale parte un biondo paglierino che cade lungo le spalle. Vestita allo stesso modo della figlia, calza un paio di sandali di qualche numero più grande del suo. Come mi è capitato spesso di vedere in altre donne, anche lei porta tutta la sua roba raccolta dentro un grande foulard legato a sacco e, mestamente appeso alla spalla sinistra, è lasciato cadere fino al fianco destro. Penso che sia una donna giovane, anche se il volto segnato la fa apparire più grande di quanto sia in realtà.
La più piccola di questo terzetto femminile ha circa due anni, e anche di lei potrei dire le stesse cose già dette per la sorella maggiore. La sua magliettina di cotone è a maniche corte (a marzo...) e la gonnellina completamente sbottonata si ostina a scendere giù da sola in continuazione.
La donna continua a discorrere con la bambina. Lingua incomprensibile per me, posso intuire che siano originarie dell’est Europa. I lineamenti severi, non c’è neanche un velo di dolcezza nella sua espressione. La piccolina ad un tratto tira via il codino verde carico di fronzoli che le tiene raccolti i capelli: le ciocche rimangono perfettamente ferme, come se il fermaglio fosse ancora al suo posto. Deduco che quei capelli non entrano a contatto con l’acqua da un po’ di giorni, dato che riescono a vincere anche la forza di gravità. Arriva la loro fermata e scendono. A me resta nella gola quell’odore amaro che non riesco a mandare via, e nel cuore una profonda amarezza che non voglio mandare via.

Se io fossi costretta ad andare in un paese più ricco del mio, con le attese e le speranze di dare un futuro migliore ai miei figli, più umano del passato che io ho vissuto. E se la mia Patria fosse stata per decenni vessata dalla dittatura, dalle privazioni, dalla censura, dalla guerra, se io fossi stata costretta a fare la fila per acquistare un pezzo di pane. E se per anni ci fosse stato qualcuno che avesse deciso per me quanta pasta ho il diritto di mangiare, quanto latte e quanto burro posso comprare, quali programmi posso vedere, quale mondo posso conoscere, quali pensieri la mia testa può elaborare. E se per sopravvivere a tutto questo il mio carattere fosse stato temprato, diventato più duro, più incline alla ribellione. E se arrivata in questa nuova terra carica di speranza nessuno mi desse lavoro perché sono straniera, se non avessi i soldi per vivere in una casa. E se fossi costretta a trovare riparo in una baracca, senza luce, senza acqua...forse le mie bambine sarebbero spesso sporche. E se salissi su un autobus e tutti attorno a me mi tenessero a distanza perché sono sporca, perché puzzo, perché sono straniera e quindi rubo, truffo, violento, rapisco i bambini. In un mondo così è difficile dire quale speranza avrei per la mia vita.

E io...cosa faccio in una situazione così?

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