venerdì 30 ottobre 2015

Buongiorno signora. Buonasera signora

Con un po’ di fatica varcai l’ingresso dell’ufficio postale. L’operazione richiese più manovre del solito a causa di una zingara che quella mattina aveva deciso di chiedere l’elemosina proprio sulla rampa che dovevo utilizzare. Buongiorno signora, buonasera signora. Parlava con me, forse, oppure mi trovavo ad essere un casuale bersaglio di quelle parole lanciate nel vuoto infinite volte. La guardai distrattamente, ma ancor prima della sua figura mi raggiunse l’odore aspro di un corpo che probabilmente non vedeva acqua da giorni. Mi entrò dritto nel naso, che quasi d’istinto trattenne il respiro. Mi affrettai ad allontanarmi mentre il suo piattino di plastica mi precedeva facendomi strada. Dando un colpetto a destra e uno a sinistra con la mia sedia a rotelle sulla porta scorrevole un po’ troppo stretta, mi ritrovai dentro. Lanciai un’occhiata all’unico sportello basso della stanza per accertarmi che l’impiegato fosse al suo posto, poi staccai il numero dal distributore e mi fermai in un angolo aspettando pazientemente il mio turno.
La stanza era affollata e un vociare sommesso ma intenso accompagnava i segnali acustici che si susseguivano ad ogni cambio di numero sul tabellone. Accanto a me sedevano dei vecchietti simpatici che attendevano di ritirare la pensione. Tra un acciacco e l’altro lanciavano qualche imprecazione contro gli impiegati, contro il governo, contro i giovani d’oggi. Qualche posto più in là due donne discutevano animatamente scambiandosi consigli sulle ultime ricette sperimentate. Tesi l’orecchio cercando di captare qualche buona idea per la cena romantica di venerdì sera che si avvicinava: si, le fettuccine ai funghi mi sembravano un’ottima soluzione.
Un uomo in abiti da lavoro camminava su e giù nervosamente davanti a me, rispondendo solertemente al telefono che continuava a squillare. Una madre rincorreva disperatamente la sua bambina, una signora cercava di rifarsi il trucco, due ragazzi teorizzavano sulle formazioni calcistiche della sera prima, un signore litigava con la moglie per qualche documento dimenticato a casa...non riuscivo a vedere oltre, alcuni pannelli pubblicitari mi impedivano di guardare cosa accadesse nel resto della stanza.
Mi voltai verso la porta. La donna era sempre lì, seduta sulla soglia con il suo piattino in mano. Era di carnagione scura, anche se non riuscivo a distinguere bene il colore della pelle dalla patina fumosa di sporcizia che la ricopriva. I capelli, lunghi e stopposi, cadevano pesantemente sulle braccia robuste lasciate scoperte da una casacca blu a fiori gialli.
Buongiorno signora, buonasera signora. Cominciava a diventare snervante ascoltare quel ritornello infinito. Mi infilai nelle orecchie le cuffie dell’iPod per mettere a tacere quella voce e scelsi nel vasto repertorio disponibile la mia canzone preferita. Sentivo la mia terra vibrare di suoni era il mio cuore. Cantavo nella mia mente. Mi ricordai di un piovoso ritorno dal mare di qualche mese prima, dentro una vecchia 500 bianca con il mio ragazzo, De Andrè alla radio e i tergicristalli che si muovevano più velocemente solo con l’aumento dell’accelerazione del motore. Sorrisi. Era la prima volta che, dopo 26 anni, mia madre mi lasciava partire senza di lei. Si vedeva che era in ansia ma cercava di non mostrarlo. In fondo si fidava di Marco.
Ad un tratto una folata di vento invase la stanza. E assieme al vento un odore acre, pungente, irritante. Era lo stesso che avevo sentito poco prima entrando da fuori. Capii che era il suo quell’odore nauseante, della donna sulla porta. Ripresi a guardarla, ancora più infastidita. Nella stanza si levarono delle lamentele. La gente cominciò ad inveire contro di lei, contro gli immigrati e gli stranieri. - Sono tutti ladri, imbroglioni, portano malattie. - Cercai di non pensarci troppo, in fondo la cosa non mi riguardava particolarmente. Tornai invece a concentrarmi sui numeri che scorrevano, ormai mancava poco.
Di tanto in tanto davo uno sguardo allo sportello alla mia altezza. Speravo di arrivare in tempo prima che l’impiegato finisse il suo turno. L’ultima volta ero rimasta fregata perché gli sportelli “normali” sono più alti di me, ma per fortuna la mia amica Giulia che mi aveva accompagnato mi diede una mano.
E invece ecco che a mezzogiorno in punto, non un secondo in più, il ragazzo che stava allo sportello chiuse tutto e andò via. Dannazione, dovevo arrivare prima! Non sapevo se fosse il caso di chiedere aiuto a qualcuno. Scrutai rapidamente i volti con lo sguardo cercando qualcuno che mi ispirasse fiducia. Alcune persone erano già andate via. I vecchietti non mi sembravano molto pratici, la madre continuava a rincorrere la figlia, l’uomo parlava al telefono, la coppia aveva smesso di litigare ma era visibilmente nervosa. Mi soffermai sulla signora che aveva ormai finito di truccarsi. Che scarso risultato pensai, non è migliorata affatto.
Appena il tempo di arrovellarmi in questi pensieri che il contatore segnò il mio numero. Rinunciai ai miei propositi e mi avvicinai allo sportello indicato. Ecco che si verificò esattamente quello che avevo previsto: il ripiano era giusto qualche centimetro più alto della mia testa. L’impiegato non mi aveva visto arrivare e già iniziava ad urlare contro chi non rispettava il proprio turno. Alzai un braccio per far notare la mia presenza ed egli, alzandosi in piedi, arrossì leggermente con imbarazzo. Chiesi gentilmente, ma con fermezza, di poter utilizzare lo sportello più basso ma il regolamento non lo permetteva. Provai ugualmente a fare le mie operazioni sporgendomi più che potevo ma con scarsi risultati. Ero a dir poco infuriata. Il ragazzo allo sportello non mi facilitava molto le cose e la gente attorno a me era troppo presa dai vari discorsi per accorgersi che avevo bisogno di un aiuto. Aprii la borsa e tirai fuori il portafoglio in modo da averlo più a portata di mano in questa specie di acrobazie che mi ero trovata a fare. Caddero a terra alcune monete e mi abbassai nel tentativo di raccoglierle.
Ad un tratto sentii un rumore alle mie spalle. Mi voltai di scatto e vidi la donna che prima stava seduta sulla porta avanzare verso di me con passo rapido e deciso. D’istinto rimisi velocemente il portafoglio dentro la borsa e la strinsi forte verso di me. Dietro sentivo una certa agitazione. Qualcuno si alzò bruscamente dal proprio posto nel tentativo di bloccare la donna che però fu più svelta. Mi raggiunse e, mentre io chiudevo saldamente le braccia, mi infilò le mani sotto il corpo esile. Mi tirò su e mi portò più vicino che poteva allo sportello. Restai leggermente confusa e con un po’ di impaccio feci alla giusta altezza tutte le operazioni. Quell’odore disgustoso si ripresentava, adesso con più forza e senza scampo. Ora mi arrivava dentro ai polmoni, non potevo proprio evitarlo stavolta. Finii di pagare ed ella mi ripose delicatamente sulla mia sedia. Si chinò per raccogliere le monete per terra e me le porse. Poi, senza neppure aspettare un cenno di ringraziamento, si voltò su se stessa e tornò a prendere posto sulla soglia dell’ufficio postale. Mi guardai attorno. Il silenzio era calato nella stanza.
Abbassai gli occhi ma sentivo tutti gli sguardi della stanza rivolti verso di me. Mi ricomposi il più rapidamente possibile, gettai le monetine nel portafogli e quest’ultimo dentro la borsa.
Mi diressi con un po’ di incertezza verso la porta per andare via. Le passai accanto, le sorrisi. Feci un gesto con le mani nel tentativo di abbracciarla, ma lei non mi incoraggiò. Ricambiò il sorriso, con i pochi denti che le erano rimasti. Mi allontanai. Buongiorno signora, buonasera signora. Non voglio più levarmelo dalla testa.

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