giovedì 16 ottobre 2014

La Salvezza non è per pochi

Non voglio entrare in discussioni troppo teologiche perché poi non so uscirne e mi arrabbio. Tuttavia, in questi giorni ne sto ascoltando tante sul Sinodo sulla famiglia (lo so torno a rompere con questo argomento), in particolare sono preoccupato della reazione di tanti cattolici all’uscita della Relatio post disceptationem del cardinale Péter Erdő. Sono preoccupato perché stiamo rischiando di diventare come il fratello del figliol prodigo, come colui che non fa festa per il fratello che ha deciso di salvarsi e ritornare dal padre.
Comunque, ritornando alla Relatio e premettendo che questa è la relazione sulle riflessioni dei padri sinodali (che indicano prospettive che dovranno essere discusse dalla riflessione delle Chiese locali per l’ottobre del 2015) e che non è una lista di norme da attualizzare, vorrei esprimere un mio pensiero sui punti descritti in essa.
Per prima cosa non c’è ombra di dubbio che il contesto socio-culturale in cui vivono le famiglie è cambiato ed è diverso geograficamente. Nessuno può negarlo e nessuno può negare che la nostra società secolarizzata abbia creato un individualismo che spinge i singoli a prendersi cura della propria persona rischiando di vivere egoisticamente. Nessuno può negare che la Chiesa debba agire in questo contesto testoniando la salvezza. 
Sono in sintonia con la Relatio quando afferma che ci sono diversi gradi mediante i quali Dio comunica all’umanità la Grazia della salvezza. Se così non fosse avremmo comunità statiche, alle quali mancherebbe la spinta missionaria tanto amata da papa Francesco. Non dobbiamo dimenticare che la Chiesa è missionaria e che non si può permettere di chiudersi in se stessa. Mancherebbe al comando di Gesù descritto in Matteo 28,19: ”Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. In questo disegno di Dio la famiglia ha un ruolo centrale. Mi piace sempre pensare che io e mia moglie formiamo una famiglia missionaria, questo è l’impegno che abbiamo preso il giorno in cui ci siamo sposati e che tentiamo di portare avanti: essere missionari nel mondo, essere nel mondo ma non del mondo.
Infine non si può negare che mai come in questi tempi sia necessario annunciare il Vangelo della famiglia e che la Chiesa debba farlo con la tenerezza di una madre e come una madre deve far riconoscere ai propri figli gli errori commessi accompagnandoli alla salvezza. Quando ero piccolo e la maestra mi rimproverava tornavo a casa e mia madre mi “dava il resto”. Nonostante ciò, lei mi aiutava a capire dove era il mio errore e ad incitarmi a non commetterlo più. Alla fine riuscivo a fare un passettino ma senza l’amore incondizionato di mia madre credo non ce l’avrei fatta. In quest’ottica si pongono gli interventi dei padri sinodali su omosessuali, divorziati e convivenze more uxorio. La Relatio non da indicazioni, non afferma che da questo momento i divorziati risposati possono accostarsi ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucarestia; non mette sullo stesso piano convivenze e matrimoni civili con il matrimonio cristiano, togliendogli la sua dignità; non afferma che le unioni omosessuali siano esenti da problematiche morali. 
Non voglio entrare in una discussione teologica sulla questione che all’accostamento all’Eucarestia è propedeutica una recisione netta dal peccato (chi lo mette in dubbio) ma sono convinto che la gradualità della salvezza è per tutti. Questa Grazia non si può negare a nessuno. Certo, l’altro deve riconoscerla e camminare per raggiungerla e deve farlo accompagnato dalla comunità cristiana perché essa ha conosciuto la Verità e deve farla conoscere agli altri anche se può far male. Non possiamo restare inermi.

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