martedì 1 ottobre 2013

Dialogo e missione


Giuro che stavolta non vi annoierò troppo ma c'è un pensiero che mi attanaglia la mente ed è più forte di me, devo condividerlo con voi.
Chi mi conosce sa che non sono un uomo che ama il dialogo, ovvero, non amo il dialogo nel significato che gli da il senso comune. Io dico sempre che se per dialogo s'intende il parlare di alcune cose e non essere libero di poter difendere la propria opinione sentendola, quindi, denigrare o non rispettata, se ci sono questi presupposti vuol dire che non esiste dialogo. La bellezza del dialogo sta nel poter esternare la propria idea, ascoltare l'idea della persona con la quale si entra in contatto e rispettarla. Questo procedimento, tuttavia, non implicita che si raggiunga un punto di vista comune. La bellezza del dialogo sta anche il lasciare all'altro la libertà di continuare ad abbracciare il proprio pensiero, anche se non lo condivido, anche se se per me dovesse risultare un pensiero “nemico” contro il quale iniziare una battaglia (naturalmente non una battaglia violenta). L'altro è libero di fare la stessa cosa con me ma deve lasciarmi lo spazio e la libertà di continuare a manifestare il mio pensiero.
Scrivo queste cose perché mi dona una certa serenità il dialogo che Francesco (il papa) sta tessendo con Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano “la Repubblica”. Un dialogo aperto, sincero e fraterno tra il capo della cattolicità e il giornalista non credente. Quello che si stanno scrivendo e dicendo ormai lo sappiamo tutti. Mi piace sapere che ciò avviene nella stima reciproca e mi piace sapere che i due partono da alcuni punti (sottolineo la parola “alcuni”) in comune per iniziare un dialogo. Nessuno dei due vuole convincere l'altro della giustezza delle proprie idee ma nessuno dei due perde la propria identità. Per esempio nell'ultimo confronto avuto tra i due, Scalfari ha detto che lui non crede nell'anima e il papa gli ha risposto che l'anima ce l'ha lo stesso, anche se lui non crede in questo germe di eternità che l'uomo possiede. Le posizioni sono ferme e il papa non cede un passo dinanzi alle idee dell'intellettuale ateo. Certo, Francesco sa a che rischio va incontro. Sa con chi sta interloquendo. Sa che strumentalizzazioni e fraintendimenti sono dietro l'angolo. Il rischio di affibiargli cose che non ha mai detto è grande (e lo notiamo ogni giorno). Tuttavia, il papa sta insegnando una via a noi cattolici: la missionarietà; partire da ciò che si ha in comune con gli altri (in questo caso i non credenti) per poter uscire dai nostri gusci nei quali ci sentiamo protetti e farlo per annunciare a tutti Gesù che è la nostra via, verità e vita. Francesco ci invita a "sporcarci le mani" con il Vangelo.

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